30 mar 2024

Intelligenza artificiale e ambiente marino

Immagine generata da Designer Image Creator, Microsoft



La IA, l’ambiente marino e il Capodogliese.

A qualcuno potrebbe sembrare che quasi non si parli d’altro. In realtà stiamo aprendo finalmente gli occhi su un mondo in cui l’impiego della intelligenza artificiale è già consolidato in tutti i campi emergenti. La conservazione marina non fa eccezione.


Oceani monitorati da IA

Sviluppare una intelligenza in grado di trascenderci è probabilmente parte del nostro percorso evolutivo. La IA è stata impiegata da Global Fishing Watch per mappare le attività umane negli oceani e scovare flotte ombra attraverso un lungo percorso di machine learning. A Raine Island, in cima alla Grande Barriera Australiana, una IA ha contribuito notevolmente nel monitorare le tartarughe verdi, che proprio sull’isola formano la colonia più grande del mondo con circa 70.000 individui presenti contemporaneamente. Una IA sviluppata in Canada è capace di tracciare le microplastiche con un minimo errore e, in futuro non lontano, potrebbe intervenire nella gestione delle acque reflue e nella produzione e distribuzione dei prodotti alimentari. Le IA vengono utilizzate con successo dai ricercatori per valutare il livello di salute degli ambienti sia marini che terrestri, semplicemente analizzando i suoni che gli ecosistemi producono. Sull’analisi del suono sono stati fatti passi da gigante. Basterebbe pensare che Shazam è nata nel lontano 2002. Ma l’impiego della IA che ha fatto parlare i quotidiani di tutto il mondo, non solo i magazine specializzati, solleva importanti questioni.


Decifrare la lingua dei capodogli.

Il progetto CETI è il programma di ricerca sul linguaggio dei capodogli più avanzato al mondo. Basato sull’isola di Dominica, dove è stato da poco inaugurato il più grande santuario dedicato a questi enormi cetacei, si prefigge di decifrarne il linguaggio ed ha le carte in regola per divenire lo studio di riferimento se non il primo vero breaktrough nella comunicazione interspecie. I capodogli non solo hanno sviluppato un linguaggio ma dei veri e propri dialetti. Purtroppo, come invece è accaduto con i geroglifici, non abbiamo nessuna Stele di Rosetta che possa aiutarci a decifrarlo tramite un testo a fronte in un’altra lingua conosciuta. Abbiamo dei veri e propri dialoghi registrati dei quali non comprendiamo nulla. Abbiamo suoni, migliaia di campioni sonori che i capodogli emettono nelle varie circostanze, ma restano per noi incomprensibili. I ricercatori del CETI sanno che le IA hanno bisogno di volumi immensi di dati, come Chat GPT, portata in causa dal New York Times per un data-scraping senza precedenti. IL CETI, attraverso droni, ROV, telecamere e sensori satellitari sta facendo man bassa di dati (stavolta liberi da copyright) per collegare i click e le modulazioni che i ricercatori chiamano code con situazioni, atteggiamenti, ambienti, comportamenti. In questo scenario di ricerca un percorso senza un tipo di machine learning è totalmente impensabile. Questa, insomma, è la notizia che ha fatto più scalpore sull’impiego dalla IA nel nostro ecosistema preferito. wow, direte voi.

C’è un grosso ma.

Immagine generata da Designer Image Creator Microsoft


Tutte le IA avanzate generano legittimi dubbi

In questo caso i dubbi arrivano, fortunatamente, ben prima dei risultati. Il progetto CETI ha assicurato di servirsi solo di IA ‘etiche’ e sulle quali manterrà un forte controllo ma non esiste solo il CETI. Sappiamo che qualsiasi tecnologia, una volta sviluppata, fatica a restare chiusa nel suo recinto fatto di buone intenzioni. La comprensione del linguaggio animale pone le basi ad uno sviluppo che possiamo già prevedere senza sforzi di fantasia: la capacità di riprodurlo a nostra volta artificialmente. I primi dubbi sono di carattere etico: siamo sicuri di voler rompere questa barriera interspecie? Qui non si tratta di immaginare un mondo dove i topolini parlano e cantano con Cenerentola, si tratta di scoperchiare un eventuale vaso di Pandora. Una volta rotto il tabù e consolidata la tecnologia, siamo sicuri di non volerci provare con le altre specie? Quanto può essere utile per i capodogli (e per le altre specie) venire compresi e poi, inevitabilmente, la nostra capacità di dialogare con loro? Karen Bakker, la più eminente studiosa del tema, scomparsa recentemente in modo prematuro e autrice del saggio ‘The Sounds of Life’, mette tutti in guardia. Non sull’intelligenza artificiale in sé, né sul suo uso nella ricerca ambientale marina ma sulla mancanza di un quadro etico e legislativo intorno alla comunicazione interspecie. Ci ricorda che (come è già successo con tante altre applicazioni) stiamo allegramente sviluppando qualcosa di cui potremmo pentirci amaramente. 
Qualcosa che in mani poco etiche potrebbe favorire il saccheggio dei mari in modo esponenziale e irreparabile.

Questo articolo è stato pubblicato su Scubazone n°72 


Qui sotto gli articoli di riferimento: per ImperialEcoWatch
sono stati approfonditi i vari aspetti:


31 dic 2023

Cose belle del 2023

 


Come sempre a fine anno si fanno bilanci. In questo post vorrei ricordare le cose belle e positive, ché per il resto ci sono altri spazi. Eccole:

Cose viste

Lazarus

Andato in scena a New York sette mesi dopo la scomparsa dell'autore, Lazarus è considerato il testamento artistico di David Bowie. Scritto con il drammaturgo Enda Walsh, Lazarus è un'opera che qualcuno ha definito juke-box musica. Bowie stesso aveva scelto una definizione più precisa: teatro musicale. Lazarus è una esplorazione della mente, dell’identità e della coscienza di sé o forse semplicemente un viaggio nella poliedricità artistica di una delle rock star più feconde (e gentili) della storia della musica moderna. 

Lazarus è il dramma di un uomo che non può morire.
L'antitesi più schietta della vita, dal punto di vista biologico, non è la morte, bensì la non morte. Lazarus è un uomo prigioniero di ciò che fantastica, costretto alla reiterazione dei suoi ricordi, alla testimonianza continua del suo fantasticare situazioni che si sviluppano in modo parallelo e contraddittorio e senza controllo. Forse per contrastare il senso di perdita, costante dell'esperienza umana. Scritto da un Bowie davvero immortale.

leggi tutto qui:

https://nonsoloshamandura.blogspot.com/2023/12/lazarus.html


Barbie - Oppenheimer

Tra i film importanti visti quest'anno due, usciti in contemporanea, si sono contesi l'audience. In passato la scelta sarebbe stata giudicata come un suicidio. Si ritardavano i 'release' nelle sale di film da grosso budget proprio per evitare la concorrenza diretta. Barbie e Oppenheimer hanno dimostrato che quel concetto applicato al cinema, come tanti altri in economia, erano sbagliati. Ero ovviamente più propenso a vedere Oppenheimer, che ho visto come primo film. Ma anche Barbie mi sembrava intrigante. Se Oppenheimer faceva parte di quel retaggio proprio a chi ha vissuto la guerra fredda, Barbie e Ken erano pervasivi anche nella vita di tanti piccoli maschi. 

In questo post i due film a confronto con i punteggi, proprio come in una partita:


Smugglers

Pare che non verrà rilasciato in Italia, almeno in un prossimo futuro. Ma questo film sudcoreano è senz'altro il film più divertente visto quest'anno. almeno per me che sono un subacqueo. Ambientato negli anni '70 si ispira a una storia vera. alcune pescatrici di perle si ritrovano senza lavoro a causa dell'inquinamento del mare. Spinte dalla fame decidono di offrire i loro servizi ad una banda di contrabbandieri che affondano casse con sigarette ed altri beni sott'acqua. Spetta alle donne andarle a recuperare. Ma un carico d'oro mette tutto a soqquadro. La mafia sudcoreana... (ebbene, provate ad immaginare un mafioso sudcoreano vestito alla moda mafiosa sudcoreana anni '70 e già ridete)... e la polizia sono sulle tracce del carico mancante e finiscono tutte in prigione. Tra colpi di scena, doppi giochi, trappole, inganni fantasiosi, tra innumerevoli giravolte della trama, la guerra di sospetti mette tutte le bande contro tutte le bande. Il film si conclude con una battaglia splatter nei palazzi dei mafiosi alla Kill-Bill e un'altra sott'acqua degna del miglio Bond di Thunderball e di John Landis. Non ho cronometrato i tempi, ma suppongo che questo film abbia battuto il record delle scene girate sott'acqua. Scene esilaranti, surreali, come in un film più vicino a Guy Ritchie che a Tarantino. A presto una recensione completa. Sperando divenga disponibile almeno sulle piattaforme on demand. Un subacquee non dovrebbe assolutamente perderlo.


Libri

Uno su tutti, Il Passeggero di Cormac McCarty. 

Dovendo decidere quale tra i tanti, pr motivi di spazio, come subacqueo non potevo non scegliere il passeggero, la storia molto oscura di un subacqueo professionista che durante un'operazione di salvataggio, un aereo precipitato alla foce del Mississippi, scopre qualcosa che non avrebbe dovuto scoprire. Parte come un thriller ma la sua filigrana è quella di un romanzo distopico, forse un'allegoria. Sempre alla Cormac McCarthy. Anche qui tantissime scene ambientate sott'acqua, tra aerei precipitati, rimorchiatori affondati da riportarein superficie, buio e correnti limacciose, impetuose. Estremamente realistiche. Ne trovate una recensione completa qui:


Eventi

Soundstainability – making future from listening

In un incontro multidisciplinare su suono e ambiente, tra le altre iniziative, i ricercatori hanno esposto lavori di mappatura ambientale condotti semplicemente registrando ed analizzando dei suoni. I suoni, per chi sa leggerli, possono offrire una sorta di radiografia dell'ambiente. Possono dirci quanto è sano un reef o una foresta, o quanto è inquinato un ambiente urbano. Sovrapponendo l'analisi dei suoni ad altri campionamenti e alle statistiche sociali, otteniamo un’immagine ancora più accurata dell’ambiente che ci circonda. Partecipavano esperti del suono, biologi, ingegneri, matematici e musicisti. Un ciclo di conferenze, una più interessante dell'altra, tra concerti, percorsi sonori e installazioni, per sottolineare l'importanza di un approccio acustico e multisensoriale allo sviluppo sostenibile. Tra i percorsi sonori una postazione dalla quale si poteva ascoltare Cuore di Reef, un mio originale radiofonico che proprio in quei giorni competeva come finalista per il Prix Italia nella sezione sviluppo sostenibile. Potete ascoltarlo al link precedente.
Di più sull'evento:

EUDI

Lascio per ultimo l'evento che mi ha fatto più piacere di tutti, l'evento che mi ha concesso di rivedere i vecchi amici subacquei all'EUDI. Dopo anni di pandemia, finalmente un abbraccio. Ne ho scritto nel post precedente, ma per praticità incollo il link.




Ecco, volevo finire quest'anno condividendo con voi alcune delle cose belle, con uno sguardo sul lato positivo dell'anno che sta per concludersi, con una retrospettiva piacevole. Ne abbiamo bisogno.
Arrivederci al 2024!

claudio di manao








 

19 ott 2023

vi voglio bene, figli di una shamandura

 


E poi ci incontreremo al Roxybar…

Meglio di no. La mia giornata bolognese inizia proprio al Roxybar, sono ospite di una cara amica dei tempi di Sharm che abita a cento metri da lì, ma uno staff scorbutico ci fa notare che non servono più al banco. Neanche il caffè. Lei glie ne dice quattro, con quell'accento gentile, ma è il crollo di un mito. Vaglielo a dire a Vasco quell’altro spericolato. Di miti che s'accasciano ne ho le tasche piene. Reinventarsi, adattarsi… ti insegue come un karma. Tutto sommato positivo, stimolante, ma a volte un po' faticoso. Rieccomi all’EUDI, come negli anni in cui le sue date invernali combaciavano con le mie ferie egiziane. Ottobre, chissà chi trovo dei Figli di una Shamandura. Le didattiche, il DAN, la Marina Militare, ScubaPortal, ci saranno sempre, sono istituzioni incrollabili. Auguro loro di rimanere tali. In quanto a me  chissà cosa mi succederà dopo la pandemia, la nevrosi da distanze sociali. Ho perso l’abitudine ai luoghi affollati o forse non ci ho mai fatto davvero l’abitudine. Sarà peggio, mi dico, ma voglio andare, voglio osservarmi. Al massimo mi sentirò un po’ rallentato e confuso, ma voi subacquei mi mancate di brutto. Qualcuno di voi mi sta aspettando, ho appuntamenti. Io non mi aspetto sorprese. Se vuoi le sorprese devi andare a cercarle dalle parti di Ras Mohammed.


Cosa sarà...

Fa caldo. Vado dritto allo stand del DAN, che festeggia il suo 40° compleanno. La prima cosa che mi dicono è che c’è un party con DJ set alle diciotto. La seconda è che c’è una presentazione sui relitti in Albania. Ve lo sarete immaginato, voi vecchi sharmesi disincantati che l’Albania sarebbe diventata una meta subacquea capace di insidiare il prestigio del Thistlegorm e di Sha’ab Abu Nuhas? Se avete risposto no siete sharmesi DOC, solo che m’è venuta voglia di immergermi in Albania. C’è un relitto che fa proprio per me, quasi a pelo d’acqua. Al bar c’è una fila pazzesca. Abbiamo quasi raggiunto la la cassa che ci arriva da lontano una risposta terrificante: la birra c’è ma è calda. Io e due amici non abbiamo voglia di rimetterci in fila ad un altro bar, giriamo i tacchi e usciamo dalle porte antincendio. Dallo zainetto escono fuori dei tramezzini. Li abbiamo presi in caso d’emergenza, mi dicono, all’EUDI c’è sempre fila. Uno è un informatico, l’altra è bancaria. Dovrebbero invece lavorare nelle assicurazioni. Appena fuori, una nota guida di Sharm ci riconosce subito, s’accorge che stiamo mangiando dei tramezzini del supermercato e comincia a sfottere. Non lo vediamo da chissà quanto. Sospetto che con soggetti come noi dieci anni sono sempre ieri. Se ne va con una birra in ognuna delle due tasche dei calzoncini.


Futura.

La lamentela generale non è per l’unico padiglione, una versione striminzita rispetto alle edizioni precedenti, ma per le teste bianche e grigie che dominano il paesaggio umano. È vero, noi siamo nati in tantissimi, siamo stati il più grande surplus di bambini che le pance delle mamme e il pianeta abbiano mai sopportato. Con le conseguenze che potete constatare, ma la sproporzione spaventa. Un ricambio generazionale farebbe piacere a tutti, non solo all’INPS. La nuova generazione di subacquei… se è una femmina si chiamerà Futura. Intanto noi ci sentiamo un po’ gli ultimi dinosauri della subacquea prima dell’asteroide. Chissà se vale per tante altre cose. Adattamento. Un amico subacqueo a cena mi parlerà di golf, ma questo succede dopo. Adesso sono in giro ancora un po’ stordito per un padiglione che per me è già abbastanza affollato. Ecco che ad uno ad uno, ad una ad una, spuntano pezzi di vita. Pezzi forti, irripetibili come lo erano gli anni d’oro di Sharm. Ci riconosciamo immediatamente, anche da lontano. Non siamo cambiati. Ho una mezza idea del perché, ma questa ve la spiego dopo. Intanto gli occhi brillano e i cuori battono forte, lo senti negli abbracci. Spariamo battute per trattenere le lacrime. Due parole, non di più, per renderci conto che siamo rimasti uguali a noi stessi. Due parole per capire che nessuno è veramente tornato al posto di partenza. Percepisco negli occhi e nelle frasi frammenti di vita vissuta in più continenti. Si ride tanto.

Ognuno col suo viaggio ognuno se stesso,

nessuno in fondo perso per i fatti suoi…






We'll be singing

Scopro che fine ha fatto il bancone del Pirate’s bar, quello con le targhette con i nomi del Club dei 100. Vale una investigazione approfondita e forse un viaggio. Ho una lattina di Stella in frigo, sicuramente scaduta, che aspetta un’occasione del genere. Intanto allo stand del DAN scoppia il putiferio. Birra, prosecco, dj-set. Mentre l’ambiente s’affolla e si scalda a me ed una nota guida di Ustica ficcano una parrucca sulla testa. Ci guardiamo, annuiamo. Sì, hanno proprio cavato dal mazzo i due soggetti cui infilare una parrucca in testa. Arriva il colpo di grazia: Tubthumping, Chumbawamba. Iniziamo a ballare scatenati.

I get knocked down

But I get up again

You're never going to keep me down

A parte il fatto che mi piace un casino, prendo Tubthumping come un piccolo omaggio a Thomas Canyon, il protagonista di Io Sono Il Mare, che lancia proprio questo brano dopo essere stato allontanato dalla comunità subacquea per aver offerto immersioni introduttive gratis per tutti. Chissà se lo era davvero.



Nuvolari.

È già tutto finito, sono già in treno. Alta velocità. Fa un caldo pazzesco, come nei miei romanzi giovanili, distopici. Rifiutati dalle case editrici. Meglio così. Chissà cosa sarebbe stata la mia vita se me li avessero pubblicati. Sarei diventato istruttore subacqueo? Sarei mai approdato a Sharm el Sheikh, dove vi ho incontrati? La risposta è un no categorico. Il rifiuto delle case editrici mi aveva portato ad una riflessione: c’è un solo romanzo che vale la pena di scrivere, quello della tua vita, un romanzo che tu per primo hai voglia di leggere. Trasferisco sul cellulare e nella mia mente i tasselli di un mosaico che sembrava esploso, ma che in qualche modo potevo ancora scorgere nella sua interezza. Lo teneva insieme una sottile trama di affetto, di bellezza condivisa. Andrea, era il grande assente. Quanto ci mancherai, Andrea! 

Perché ci siamo riconosciuti subito? Perché ci sembriamo uguali a ieri? Qualcuno direbbe: luce interiore. Io mi rivolgo alla meno poetica scienza. Abbiamo tutti viaggiato nello spazio e nel tempo alla stessa velocità. E nella stessa direzione. Avete scritto tutti il vostro romanzo, e continuate a scriverlo, ma soprattutto, per un certo percorso, siete finiti nel mio.

Vi voglio bene, vecchi amici sharmesi…

(tutto il pippone di cui sopra era per dirvi proprio questo)

Grazie.

 

Claudio di Manao




15 set 2023

Orche che odiano le barche

Sicuramente ne avete sentito parlare:

tra la Galizia, il Portogallo e le Canarie una piccola popolazione di orche da un paio di anni prende di mira le barche a vela, causando danni e addirittura affondamenti. Da gennaio, però, gli attacchi si sono intensificati. Un filmato diffuso dalla BBC mostra delle orche adulte istruire i piccoli nella pratica di questo sport. Non è chiaro cosa le spinga ad attaccare le barche. Di certo viene subito in mente, almeno a chi l’ha letto, Il Quinto Giorno, romanzo scientifico-profetico di Frank Schätzing, in cui la vita marina si ribella all’invasore umano. Il mondo scientifico frena il melodramma...

Continua a leggere l'articolo di Claudio di Manao su ImperialEcoWatch



28 giu 2023

Pinneggiando sull’Adda

 




Pinneggiando sull’Adda

Ho conosciuto i ragazzi del Bergamo Diving Center nel 2019 durante un evento DAN. Si parlava di viaggi e di sicurezza nei viaggi subacquei e proseguimmo in pizzeria. Mi trovai circondato da ragazze e ragazzi – anche di una certa età - vivacissimi, entusiasti e rumorosi. Era da tanto che non ridevo così. Fu attrazione fatale. Mi invitarono per la Pinnata che si sarebbe dovuta svolgere a giugno dell’anno successivo ma scoppiò il Covid. 

Un giorno mi arriva una e-mail di Riccardo: Vieni?

 

La magia dell’acqua che scorre.

Se c’è una cosa che m’è sempre piaciuta un casino, tra le attività acquatiche, è discendere fiumi. Non in una normale barca ma in canoa, in gommone. Nelle camere d’aria dei camion. Su zattere di bambù. Qui lo scrivo poi lanciatemi le sedie: preferisco immergermi nei fiumi più che nei laghi. Stavolta mi offrono di discendere un fiume con muta e pinne, una novità. Non è un invito al torrentismo. Quello, l’ammetto, mi manca ma abbiate pazienza, arriverà. La Pinnata sull’Adda è invece una cosa molto tranquilla. In quel tratto il fiume, e già da un bel pezzo, scorre placido. Quasi addomesticato.

Alle otto e mezza siamo alla Canottieri di Trezzo sull’Adda, una base fluviale ben posizionata e concepita. In una sacca muta, pinne, maschera e snorkel. Gli ultimi due pezzi d’attrezzatura si riveleranno perfettamente inutili. Riempiamo autodichiarazioni sul nostro stato di salute. Scopriamo di essere coperti da un’assicurazione. Marco, istruttore del Bergamo Diving Center, ci fa salire su un minibus. Abbiamo già zippato le mute e Marco e gli altri istruttori indossano anche elmetti speleo e salvagenti da soccorritori. Percorriamo una strada sterrata che risale il fiume. I mezzi fanno avanti e indietro per trasportare uomini, donne e attrezzature. Per la gioia dei ciclisti e dei pescatori in gara. Ci sono parecchie donne, più del fatidico 30%, così a occhio. Superiamo una spiaggetta alla nostra destra dove stanno alando un gommone. Non è un gommone qualsiasi, la sezione centrale della prua può abbassarsi, come il portellone di un ferry, per facilitare un soccorso. Sarebbe il massimo, un gommone così, per le immersioni. Chissà quanto costa. Durante il tragitto Marco mi racconta tutto quello che mi può raccontare: quanti siamo (74) quanti erano nell’edizione precedente ed il record assoluto negli anni passati: 171. Procediamo sullo sterrato tra frasche, passanti, pescatori e ciclisti che ci guardano. Non-gioiosi. È una domenica italiana molto assolata e sono tutti in giro, a piedi in bici e con le canne da pesca. Siamo arrivati allo start e già mi manca il fiato. La Centrale Esterle di Porto d’Adda è monumentale. Quando siamo tutti radunati scendiamo da un passo di servizio, ci caliamo da una scala in tubi innocenti, indossiamo le pinne su un comodo gradino che sembra fatto apposta per quello, e…

 

Splash. Partono tutti come razzi.

“Il percorso può essere affrontato in maniera ludica, con lo scopo di trascorrere una giornata in allegria e soprattutto in un ambiente incontaminato e di straordinaria bellezza, o in maniera agonistica.”

Avrei dovuto capirlo dai costumi hi-tech delle nuotatrici. I nuotatori pro maschi sono tutti a petto nudo. Provo a inseguire il gruppo con maschera e snorkel, ma poi mi stufo. La visibilità è quello che è e lo spettacolo è sopra e tutto intorno, non sotto. Marco è dietro di noi, chiude la fila. Dopo pochi minuti, ho i primi crampi. Marco mi strizza l’occhio e mi fa: Io ho preso i sali. Non so quanti anni abbia ma, come me, sembra non ne abbia più trenta da un po’. Ecco che anche la mia buddy, ha i crampi. Me lo comunica con una certa sorpresa: E io che avevo preso il Polase! Siamo due subacquei (tedesch) i arrugginiti, quel tipo di subacqueo che in favore di corrente aggiusta il GAV e non pinneggia mai. Siamo qui per goderci lo spettacolo, dice Marco per farci coraggio. Non sta mentendo. Anatre che ti volano accanto a pelo d’acqua. Libellule azzurre che forse ti scambiano per una portaerei fluviale. Folaghe. Svassi. Cigni. Tantissimi nidi e piccoli di ogni specie, è stagione. Il bosco che incombe sul fiume nasconde le case sulle alture. Ammiro il gioco tortuoso delle radici emerse. Pinneggio sul dorso, preferibilmente a rana, sotto un cielo incredibilmente azzurro. So che la mia faccia brucerà. Marco non è lì solo per me e la buddy e le distanze tra noi tre e quelli più avanti si stanno tristemente allungando. Se non spingiamo Marco perderà il controllo del resto del gruppo ma dice che non dobbiamo preoccuparci perché c’è un gommone che fa su e giù lungo la fila di pinneggiatori. Da bordo gommone ci mandano spesso segnali: sospettano, giustamente, qualche difficoltà. In realtà l’unico vero rischio per la nostra salute è quello di affogare per quanto ridiamo. Le storie che si raccontano i subacquei sono più esplosive delle peggiori barzellette. Per fortuna quelli che ci precedono si stancano presto. Ancora libellule, folaghe, anatre. Aironi. Il paesaggio ai nostri lati, con le foglie degli alberi che luccicano al vento, scorre cambiando prospettiva. Solo l’ambulanza mantiene il nostro passo, guatandoci dalla strada sterrata. E il fiume, come qualsiasi altra massa fluida in movimento, non scorre mai omogeneo. Lo sanno bene quelli che frequentano l’acqua e l’aria. Piccoli gorghi, secche. Sul lato esterno della curva la corrente scorre più veloce. Quando il fiume si allarga, il flusso rallenta. Madre Natura funziona spesso al contrario delle tangenziali.

 




Le cose sacre.

Verso l’arrivo ci fanno cenno di spostarci sulla riva destra. Poco oltre ci sono le chiuse. Gli organizzatori preferirebbero non vedere pinneggiatori aggrappati alle griglie come gatti su una rete da pollaio. Per evitarlo hanno fatto in modo che tutti confluissero per tempo sulla sponda giusta. La corrente, a guardare bene quel punto, non sembra forte, ma non si sa mai. La sicurezza, per noi subacquei, è sacra. L’acqua non era fredda, ma 5,5 km e più di un’ora di fiume, 90 minuti per noi pigri e ‘crampati’, affamano. I volontari del buffet-griglia e al bar scodellano, arrostiscono e spillano birra. C’è anche un menu vegetariano. So che la cucina è l’altra cosa sacra, dopo la sicurezza, tra i subacquei italiani. Viene prima del lago e del Mar Rosso. Pronuncio una parola pericolosa: carbonara. Lo so che non si fa, perché qualcuno prima o poi dirà ‘panna’ e l’effetto è sempre esplosivo. Al binomio fatidico le facce si fanno serie. Gli inglesi ci definiscono i critici gastronomici più spietati. È comprensibile, soprattutto dal loro punto di vista. Abbandono perfidamente la discussione per parlare un po’ con Giuseppe Zappa (Beppe) presidente e fondatore del Bergamo Diving Center. Mi interessa sapere com’è nata l’idea della Pinnata sull’Adda una delle manifestazioni, lasciatemelo dire, più belle cui ho partecipato.

 

Per gioco e poi sul serio.

“Eravamo un gruppo di amici, 5 o 6… al massimo una decina, e d’estate finito il lavoro per scherzare andavamo a nuotare sull’Adda, non c’erano divieti, allora.”

Il Bergamo Diving Center trasformerà una mezza goliardata tra amici in un evento che vedrà ben trenta edizioni. Beppe mi racconta che l’associazione nasce nel 1986 dalla scissione da un antico club FIPS (si chiamava così all’epoca la FIPSAS-CMAS) per un percorso verso la PADI. L’associazione, non a scopo di lucro, ha lo spirito di un Thomas Canyon, uno dei miei personaggi che ho più a cuore. Thomas, come gli istruttori del Bergamo Diving Center, vuole portare sott’acqua il maggior numero di persone perché solo così si può creare un legame profondo con il mare. E con l’ambiente acquatico in generale. In un anno arrivano nei corsi fino 120 allievi. Il marketing? Il passaparola, mi dice Beppe.

“Ci siamo ridimensionati, 120 allievi erano troppi per noi che preferiamo una ratio di 2 allievi per ogni istruttore-divemaster come puoi vedere non andiamo solo sott’acqua.“

Scopro che organizzano, oltre ai viaggi in Mar Rosso tra Egitto ed Arabia Saudita, anche canyoning e un’altra cosa che m’è piaciuta assai: il giro delle cantine dell’Amarone in Valpolicella. Tra tutte, l’organizzazione della Pinnata è la vera sfida. Lo è dal punto di vista burocratico e organizzativo. Si svolge in un’area protetta dove inoltre vige il divieto di balneazione per motivi di sicurezza. Le imponenti misure impiegate, gommone, ambulanze, soccorritori, vengono prese per ottenere la deroga a quel divieto. Quell’ora e più di vera beatitudine nel fiume è frutto di protocolli e di pianificazioni accurate, di un coordinamento preciso. Non è attenzione maniacale, è voglia di serenità. Non so voi che mi leggete, ma in acqua io preferisco ridere, divertirmi, contemplare la natura. Tutto ciò che potrebbe generare stress o rovinarti la giornata va neutralizzato prima che bussi alla porta. La pinneggiata sull’Adda, almeno per me, malgrado qualche crampo, è stata una sorta di sessione yoga. Ma una sessione poco ortodossa. Ogni tanto, l’ammetto, più che al Nirvana pensavo ad un’altra cosa, altrettanto sacra ai subacquei di tutto il mondo. La birra.

Salute, Bergamo Diving Center!

e a presto.

claudio di manao

http://www.bergamodivingcenter.com/

http://www.bergamodivingcenter.com/index.php/pinnata

https://claudiodimanaoblog.blogspot.com/2019/12/evento-dan-al-bergamo-diving-center.html